di Mario Matteini
[Secondo episodio della serie “La password nella storia”]
Post pubblicati:
1. La lingua che discrimina
2. La parola d’ordine da Ificrate a Lamarmora
3. Le societá segrete dell’ottocento
4. L’inutile strage della Grande guerra
5. Parole di liberazione
6. Le spie della guerra fredda | 6.1 La temeraria Martha | 6.2 Polyakov, la talpa gigante al Cremlino | 6.3 Lost in translation
7. Come ai tempi della Guerra fredda
8. Dalla realtà alla finzione
9. Usare bene la password
Buon giorno e buon fine settimana.
In tutti gli esempi di shibboleth del primo episodio appaiono situazioni di conflittualità. Il mezzo di discrimine è la lingua, o meglio il suono della lingua. Parole di difficile pronuncia sono usate come una clava.
Anche se si tratta di storia, e la storia non ha sapore, è amaro figurarsi come la lingua, che è il più solido collante delle comunità umane, sia stata impiegata per procurare violenza e prevaricazione. La lingua non per conoscere e accogliere, ma per distinguere ed eliminare.
Oggi Mario Matteini ci dice di uno stadio più avanzato del percorso identitario, nel quale si afferma un vero e proprio gergo identificatorio, la “parola d’ordine”. Si tratta di una modalità che nasce all’interno del cosmo militare, che ha sempre un nemico da attaccare o uno dal quale doversi difendere. C’è sempre qualcuno da escludere o da includere, alla buonanima di Rousseau.
E ci sono sempre delle informazioni da preservare gelosamente e da schermare a un presunto o effettivo avversario. Ecco che inizia a svilupparsi una sorta di chiave linguistica, una chiave blandamente criptata, una parola d’ordine, appunto, che può essere di suoni o gesti.
Non mancate di leggere la divertente rassegna collazionata dal nostro Mario Matteini sempre pronto a immergersi nel pozzo della storia, sfidandone i miasmi. Sfida nobilissima, come ci dicono gli antichi egizi che divinizzavano, nella loro sofisticato bestiario, lo scarabeo stercorario come supremo simbolo di resurrezione, rigenerantesi nella materia che rotolava.
Buona lettura
Un fischio per riconoscersi
Le prime testimonianze di parole d’ordine impiegate in campo militare provengono da Enea Tattico, scrittore greco del IV secolo a.C, autore di una delle opere più antiche sulla cosiddetta “arte militare”.
In un passo dedicato alle strategie per l’assedio, l’unica parte pervenuta della sua opera, ci parla di alcune misure adottate per i servizi di guardia da Ificrate, uno dei più grandi generali greci fra il quinto e il quarto secolo a.C.
Gli uomini di pattuglia e quelli di guardia non dovevano usare la stessa parola d’ordine, per rendere più difficile un’eventuale intercettazione da parte del nemico o di qualche disertore.
Se le guardie poi si fossero perse di vista, avrebbero dovuto comunicare con un fischio preventivamente concordato, facendo però attenzione a non creare problemi ai cani.
La comunicazione con il fischio, ci riferisce lo scrittore, fu adottata durante l’attacco notturno all’acropoli di Tebe (probabilmente nel 379 a.C.). Così i soldati potevano ritrovarsi anche nel buio.
Attenti agli dei
Lo stesso Enea Tattico consiglia di usare parole note a tutti e di evitare termini dialettali, che alcuni potrebbero non conoscere o pronunciare in modo errato.
Meglio inoltre non scegliere termini ambigui, come divinità chiamate con nomi diversi.
A tale proposito ricorda che un tentativo di infiltrazione nella città di Troia fallì, perché alla richiesta della parola d’ordine, che era “Dioscuri”, qualcuno rispose “Tindaridi”, come erano chiamati i due gemelli da quelli che ritenevano fossero figli di Tindaro, re di Sparta.
E che nessuna tessera manchi!
Lo storico greco Polibio (200-118 a.C.) ci descrive la procedura con cui le parole d’ordine venivano trasmesse in un accampamento dell’esercito romano.
La parola segreta, scelta dal comandante del campo, veniva incisa su quattro tavolette (tesserae), una per reparto (astati, principi, triari e cavalieri). Doveva essere semplice e comprensibile da tutti, in modo che potesse essere facilmente memorizzata.
La consegna ai vari reparti era affidata a sottufficiali chiamati tesserarii. Al tramonto, un tesserarius per ciascun manipolo si recava, a turno, dal comandante del campo, che gli affidava la tavoletta.
Tornava quindi al proprio manipolo, dove la tavoletta era consegnata all’ufficiale addetto e poi, alla presenza di testimoni, passata al manipolo successivo.
Concluse le operazioni di consegna, prima che facesse notte le tavolette dovevano essere riportate al comandante del campo.
Questo doveva accertarsi che fossero tutte; se qualcuna mancava, il responsabile era punito severamente.
Fide nemini
Preoccupato per il rischio che il nemico potesse venire conoscenza della parola d’ordine, a causa della disattenzione o della diserzione di un soldato, era anche Filone di Bisanzio (III sec. a.C.).
Autore di un trattato di meccanica, in una delle poche parti rimaste in cui si occupa di ingegneria militare egli consiglia di affidare la guardia solo a soldati di cui ci si possa fidare, e di non dire prima a quali parti delle mura dovranno fare la guardia.
Egli suggerisce inoltre di modificare spesso la parola d’ordine e utilizzare insieme alla parola anche dei segnali segreti.
Ercole vs Venere 0-1
Parole d’ordine particolari erano quelle scelte per le battaglie. Servivano per il riconoscimento, ma avevano anche valore propiziatorio e la funzione di motivare i soldati alla battaglia.
Per questo le parole scelte dai greci e dai romani erano quasi sempre nomi di dei. Si trattava di divinità alle quali si chiedeva protezione o che potevano servire da incitamento per i soldati.
Pompeo, ad esempio, prima della battaglia di Farsalo (48 a.C.) scelse “Ercole vincitore”, perché, in quanto fondatore di Durazzo, poteva ricordare ai soldati la precedente vittoria su Cesare in quella città.
Cesare invece preferì “Venere”, perché aveva promesso che, in caso di vittoria, avrebbe fatto costruire un tempio a lei dedicato in Roma.
A giudicare da come andò a finire, Ercole probabilmente era distratto o affaticato, mentre Venere, solleticata nella sua vanità, si dette da fare.
Libertas! …assente
A Farsalo Cesare ebbe la meglio e Pompeo restò ucciso, ma i suoi seguaci continuarono a combattere. E così toccò ad altre divinità scendere in campo per le ultime due battaglie, con le quali si concluse la guerra civile iniziata nel 48 a.C.
Abbiamo notizia di due di loro, che sono divinità più legate a culti locali o familiari: “Felicitas”, scelta da Cesare prima di Tapso (46 a.C.), e “Pietas”, adottata dai pompeiani a Munda (45 a.C.).
Felicitas funzionò, Pietas fallì. E così i pompeiani furono definitivamente sconfitti e Cesare rimase unico detentore del potere.
Cesare, come è noto, sarà poi ucciso nel 44 a. C. dai congiurati guidati da Bruto e Cassio, in nome della libertà contro il potere personale del dittatore.
Due anni dopo, braccati da Marco Antonio, i cesaricidi sceglieranno proprio “Libertas” come parola d’ordine prima della battaglia di Filippi, dove, secondo Plutarco, il fantasma di Cesare aveva dato appuntamento a Bruto.
Un appuntamento al quale la libertà non si presentò.
La geografia di Washington
Passano i secoli e poco cambia. Nel 1775, dal quartier generale di Cambridge, durante l’assedio di Boston, George Washington emana disposizioni precise per la consegna delle parole d’ordine.
Per garantire la massima sicurezza, dovranno essere due: il “countersign”, affidato alle sentinelle, e la “parole”, riservata agli ufficiali della guardia e a quelli addetti alle ispezioni.
Entrambe dovranno essere consegnate quotidianamente la sera a un’ora stabilita, in una busta sigillata. Sono quasi sempre nomi di località.
Avanti Savoia!
Ancora più precise sono le disposizioni per l’esercito sabaudo. Il regolamento per le truppe in campagna, emanato nel 1858 dal ministro segretario di stato Alfonso Lamarmora, distingue fra parola di campagna, parola d’ordine, segno e contrassegno.
La parola di campagna è quella affidata alle sentinelle, che “consiste in un vocabolo solo, facile a pronunciarsi ed a ritenersi, come il nome di battaglie celebri, specialmente nazionali, o di cose d'interesse militare usuale”.
La parola d’ordine è riservata agli ufficiali incaricati di effettuare il controllo del servizio di sicurezza e di polizia e “si compone di un solo vocabolo tolto fra i nomi dei Santi”.
Parola di campagna e parola d’ordine sono fissate dal Comando superiore, variano ogni giorno e sono diramate ai comandi dei vari reparti e da questi comunicate agli addetti al servizio di guardia un’ora prima del tramonto.
Batti un colpo
Il segno è un'indicazione muta, che può sostituire in certi casi il “chi va là” che dovrebbero dare le sentinelle.
Esempi di segno: “alzare il fucile in una posizione orizzontale, oppure battere colla mano un colpo sull'incassatura”.
Il contrassegno “è un'altra indicazione muta con cui la persona che si avvicina alla sentinella corrisponde al segno datogli da quest'ultima, come sarebbe battere due colpi sul calcio del fucile, portare la mano al keppy”.
Il ricorso al segno e al contrassegno deve avvenire quando, “per la soverchia vicinanza del nemico, è raccomandato particolarmente il silenzio, e serve principalmente ad effettuare lo scambio delle sentinelle senza rumore”.
Prima di andare
Borgen. Su Netflix torna, con una quarta e inattesa stagione, una delle serie più riuscite e apprezzate della scuola nordica. Secondo il famoso politologo Francis Fukuyama la Danimarca è l’inveramento della democrazia al suo più alto livello possibile. E proprio in Borgen vediamo i meccanismi di una democrazia avanzata, quella danese, appunto, nella quale sono proprio le donne a tenere il pallino e gli uomini passeggiano i cani. Ma in questa quarta serie c’è un plus di tutto rilievo: i paesaggi immensi della Groenlandia, l’enorme isola artica da 70 anni unita alla corona danese. Questo immenso territorio è il centro della narrazione della quarta stagione di Borgen. Proprio l’ambasciatore artico della Danimarca (carica un po’ improbabile per noi dei climi temperati) è una delle figure chiave della serie. Trovo però avvilente e greve che questa serie intelligente e pregna di Zeitgeist si apra con prolungate scene della macellazione di una balena. Siamo sicuri che è quella danese è proprio la democrazia più avanzata del mondo?
La gioia della musica. Dalle 20:15 alle 20:45, nei giorni feriali, Corrado Augias su Rai 3 ha imbastito uno splendido programma che si chiama allegramente La gioia della musica. Ogni sera, Augias presenta un brano di musica classica o d’opera per sviscerarlo sotto svariati aspetti, tecnico, musicologico, storico e intrecciarlo con la vita del compositore. I musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino e, al pianoforte, i maestri Speranza Scapucci e Aurelio Canonici affiancano Augias nell’analisi del brano. Al termine esso viene eseguito nella sua interezza dall’Orchestra della Rai di Torino sotto la direzione della Scapucci o di Canonici. Unico spettatore Augias, con il farfallino e lo spartito in mano. Edificante dopo le tetre notizie della guerra. Tutte le puntate su RaiPlay.
Epica Trenitalia. Forse illuminata dall’esempio tedesco (9 euro mensili per viaggiare sui treni regionali su tutto il territorio nazionale), la direzione di Trenitalia ha lanciato un’iniziativa che ha chiamato “Italia in Tour”. Sarà possibile andare, per un numero illimitato di viaggi, in tutt’Italia sui treni regionali con un biglietto unico valido 3 o 5 giorni consecutivi. 3 giorni costerà 29 euro (15 per i ragazzi sotto i 12 anni), 5 giorni 49 euro (25 per i ragazzi). Si può andare ovunque, da Tarvisio a Marzara del Vallo, compresa la Sardegna. Roba da farci essere più clementi sui ritardi dei Regionali.
Il New York Times in treno in Sicilia. La giornalista olandese Sanne Derks ha scritto, e meravigliosamente illustrato, un reportage al quale il giornale di New York ha dedicato l’intera pagina di chiusura del numero dello scorso weekend. Si tratta del tour in treno della Sicilia di due settimane e mezzo. Con appena 100 euro di investimento, la Derks ha visto i meravigliosi paesaggi marini, campestri, montani e urbani di una Sicilia autentica che lentamente si susseguivano dal finestrino del sua carrozza della quale, alle volte, era l’unico passeggero. Descrive situazioni di un’altra epoca, quando tutto era semplice, diretto e casalingo. Un’idea meravigliosa per una vacanza. Andate a vedere voi stessi cosa vi potreste perdere.