Intervista
Spotify: il futuro della pubblicità online è nei podcast

Spotify: il futuro della pubblicità online è nei podcast

Dawn Ostroff, responsabile Content & Advertising della piattaforma di streaming, spiega la nuova strategia oltre la musica: "Dagli spot in podcast e audiolibri arriverà il 20% del fatturato"

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“Lei trova più interessante la musica o la tecnologia?” A fare la domanda stavolta è chi dovrebbe rispondere, ma Dawn Ostroff, Chief Content & Advertising Business Officer di Spotify, è nata come giornalista. E poi è stata, anchorwoman, produttrice di fortunate serie tv, presidente di diverse reti televisive. La incontriamo nella nuova sede milanese di Spotify, che è anche il quartier generale per tutta l’Europa meridionale e orientale: ci lavorano un centinaio di persone, da dieci Paesi diversi. Un segno tangibile della crescita della piattaforma, che oggi conta 433 milioni di utenti, tra cui oltre 188 milioni di abbonati Premium in 183 Paesi. E che per il 2030 prevede un miliardo di utenti e 50 milioni di creators. 

Nell’azienda svedese lei è entrata nel 2018: allora Spotify era essenzialmente sinonimo di musica in streaming. E oggi? 
“La nostra missione è sempre stata quella di permettere a milioni di artisti di creare i loro contenuti e distribuirli per farli ascoltare a miliardi di persone. Oggi che siamo la piattaforma musicale più grande del mondo, proviamo a diventare anche la piattaforma audio più grande del mondo. È uno spazio bianco. Col podcasting siamo partiti da zero circa quattro anni e mezzo fa, e da qualche mese siamo primi negli Stati Uniti, dove il panorama è molto, molto competitivo. Abbiamo 4,4 milioni di podcast disponibili a livello globale e solo nel secondo trimestre di quest’anno ne abbiamo prodotto 100 nuovi; in Italia ne abbiamo realizzati 22 in un anno”. 

Dawn Ostroff, Chief Content & Advertising Business Officer di Spotify
Dawn Ostroff, Chief Content & Advertising Business Officer di Spotify 

Come spiega il boom dei podcast?
“I podcast permettono una connessione molto intima con chi li realizza. Il coinvolgimento emotivo è più profondo, e dunque consentono di avere un impatto più significativo per gli inserzionisti. L’impatto dell’audio digitale su Spotify è molto più forte: il 9% in più rispetto alle altre piattaforme di audio digitale, il 23% in più rispetto alla televisione, il 19% in più rispetto alla radio. Abbiamo assistito a un'enorme crescita dei podcast, che ci ha dimostrato che possiamo avere la musica come nucleo centrale ed espanderci su un altro verticale. Il prossimo sarà quello degli audiolibri”.

 

Niente video?
“Non è detto, di recente abbiamo iniziato ad aggiungere video ad alcuni podcast e i primi esperimenti sono molto positivi. Ci sono video anche nelle canzoni, da qualche anno, e cresceranno: penso che sia molto importante per noi offrire ad artisti e creatori un ampio spettro di modi in cui creare e mostrare la loro arte”. 

 

Lei ha scritturato Barack e Michelle Obama, il principe Harry e Meghan: come vanno i podcast delle celebrità?
L’accordo con gli Obama è scaduto, mentre il podcast di Meghan Markle è iniziato circa tre mesi fa, ma lo abbiamo sospeso per alcune settimane in segno di rispetto alla famiglia reale quando la regina Elisabetta è mancata. Fin dal lancio, il podcast di Meghan è stato tra i primi tre o quattro più seguiti al mondo, parla di un argomento che credo interessi molte donne, ovvero essere etichettate come certi archetipi: l’ambiziosa, la diva, quella che non vuole sposarsi, e così via. Ci sono sempre ospiti importanti, come Serena Williams, Mindy Kaling, Mariah Carey”. 

Come si misura il successo di un podcast?
“Per noi conta il numero di persone che ascoltano, la durata dell'ascolto, il gradimento o meno dello show da parte degli inserzionisti, ma c'è una combinazione di parametri che inseriamo in una formula e che ci permette di determinare il successo di un podcast. Alcuni sono diventati popolarissimi, ad esempio quelli di Dax Shepard o di Joe Rogan. Un problema imprevisto che stiamo incontrando è la difficoltà a trovare tecnici che sappiano realizzare podcast. Siamo andati nei college e nelle università americani e abbiamo detto: "Avete pensato di avere un programma di podcast come corso di laurea in alcune scuole?" Abbiamo lavorato con le università di New York e California del Sud, accordi con altre sono in via di discussione. Per chi è giovane e pensa a una carriera, lavorare nei podcast oggi è un'opportunità da non perdere. Servono molte competenze diverse, non solo quelle richieste per la radio, bisogna capire le metriche, studiare cosa funziona e cosa non funziona, essere pronti a cambiare tutto in corsa”. 

 

Già, perché, a differenza delle radio, l’ascolto di un podcast è misurabile con molta precisione…
“Cerchiamo di aiutare il più possibile i creatori, come facciamo con i musicisti. Ad esempio, per quanto riguarda la musica, possono capire quali sono le loro metriche, quanti stream hanno avuto, per quanto tempo le persone hanno ascoltato, ma possono anche usare Spotify per determinare dove certe canzoni sono più ascoltate, in modo che quando pianificano i loro tour sappiano quali città visitare e quali brani suonare. Quindi è un modo davvero fantastico di usare i dati per far crescere la carriera di un artista musicale o di un podcaster e, in ultima analisi, anche di chi scrive audiolibri”.

 

E i dati vi servono anche per la pubblicità.
“Il modello di business dei podcast è diverso. Con la musica, la maggior parte degli incassi viene pagata alle etichette e alle case discografiche. Per i podcast, fino a poco tempo fa l'autore era responsabile della vendita della pubblicità, gli spot venivano inseriti da chi li pubblicava. Ora, se i contenuti sono in esclusiva, siamo noi responsabili della vendita degli annunci, abbiamo già una squadra apposita, e stiamo costruendo una piattaforma pubblicitaria chiamata SAI (Streaming Ad Instertion), che ci permette di dare agli inserzionisti la stessa trasparenza, gli stessi dati e le stesse analisi che ottengono quando acquistano su qualsiasi altra piattaforma digitale, ma che per qualche motivo finora non erano disponibili per podcast e audiolibri".

Come immagina possa cambiare il mercato della pubblicità nei prossimi anni?
“Credo che cambierà in modo significativo. Se pensiamo a quanto è grande il mercato pubblicitario, e analizziamo com’è suddiviso, vediamo che il grosso è nelle mani di Google e Meta, poi ci sono Microsoft, Snap e Twitter, ma rimane comunque uno spazio rilevante per i media tradizionali. Uno spazio che sta diminuendo rapidamente perché molte persone abbandonano i media tradizionali. A questo si aggiunge il fatto che le piattaforme di streaming, come Netflix e Disney +, stanno iniziando a esplorare la pubblicità: quindi molti investimenti pubblicitari si sposteranno verso il digitale. E naturalmente anche verso Spotify: a breve saremo in grado di competere con nomi come Snap, Pinterest e Twitter, e ci aspettiamo che, in un futuro non troppo lontano, la pubblicità possa rappresentare circa il 20% del nostro fatturato. Una crescita enorme, per un’azienda che finora puntava quasi tutto sugli abbonamenti”.

 

Pensa che ci sia spazio anche per i podcast a pagamento? 
“Ne abbiamo, e continueremo ad averne, vogliamo offrire ai creatori ogni modo possibile per monetizzare. Abbiamo avviato un programma senza costi per i creatori, che fino a fine anno riceveranno il 100% dei ricavi degli abbonamenti, escluse le commissioni sulle transazioni di pagamento, e a partire dal 2023 prevediamo di introdurre una tariffa del 5% per l'accesso a questo strumento”.

Lei ha citato Joe Rogan: negli ultimi mesi ci sono state molte polemiche sulle teorie antiscientifiche cui ha dato spazio nel suo podcast. Cosa sta facendo Spotify contro la diffusione di fake news nei podcast? 
“C’è molto da fare, ma stiamo imparando. Abbiamo ampliato considerevolmente il team di fiducia e sicurezza interno e creato un Consiglio di sicurezza con esperti che provengono da diverse aree: ci rivolgiamo a loro per avere indicazioni su come comportarci. Recente è anche l’acquisizione di Kinzen, considerata la migliore azienda tecnologica nel settore della fiducia e dell a sicurezza. Utilizza i nostri dati e l'intelligenza artificiale per capire cosa viene detto nei podcast e identificare potenziali fake news. Avere una piattaforma sicura è fondamentale per noi, è una responsabilità che prendiamo molto, molto seriamente. E non è un obiettivo che possiamo considerare raggiunto una volta per tutte, si sposta costantemente e noi continuiamo a crescere e a imparare, anche partendo dall'esperienza di altre aziende". 

 

Di recente Spotify ha annunciato l'acquisizione di Sonantic, una startup londinese famosa per aver creato delle voci artificiali molto simili a quelle naturali. La userete per trasformare i libri in audiolibri?
“Ci sono diverse aziende che convertono il testo in audio e ci sono diversi modi in cui possiamo utilizzare le funzioni sviluppate da Sonantic. La possibilità di convertire il testo in voce è interessante, ma ci offre anche altre opportunità di cui non posso ancora parlare”. 

 

I podcast vengono associati spesso all’ascolto in movimento, magari da o verso il luogo di lavoro. Hanno risentito della pandemia, del lockdown, dello smart working?
“Abbiamo visto cambiamenti importanti, ad esempio in Brasile, con un crollo dei podcast nei momenti nei diversi più difficili della pandemia. Ma poi gli ascolti sono tornati a crescere, e oggi sono più alti di prima. Questo vale a livello globale: lo scorso trimestre abbiamo registrato una crescita significativa dei nostri utenti attivi mensilmente: le persone sono di nuovo in movimento, è vero, ma ricordiamo sempre che un podcast si ascolta anche in casa, mentre si fanno le pulizie, o all’aperto, mentre si corre o si passeggia, in palestra, e in mille altre occasioni. È il vantaggio di un mezzo che tiene impegnate le orecchie e il cervello e lascia spazio per tutto il resto”.