L’Oceano Pacifico, con le sue numerose isole e arcipelaghi, rappresenta da decenni un palcoscenico privilegiato per la proiezione del potere globale. Sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno consolidato la loro influenza in questa regione attraverso accordi multilaterali e bilaterali che spaziano dai sostegni economici ai partenariati militari. In particolare, i Compact of Free Association (COFA) stipulati con Stati Federati di Micronesia, Palau e le Isole Marshall hanno permesso agli Stati Uniti di mantenere una presenza strategica nel Pacifico, garantendo allo stesso tempo benefici economici e di sicurezza ai paesi firmatari. Parallelamente, accordi di cooperazione militare, come quello recentemente siglato nel 2023 la Papua Nuova Guinea, evidenziano come Washington intenda assicurare la propria presenza nella regione adducendo motivazioni come quella di contrastare fenomeni quali la pesca illegale e il traffico di sostanze stupefacenti. Tuttavia, mentre alcuni paesi continuano a rafforzare il legame con gli Stati Uniti, altri stanno orientando la loro politica estera verso la Cina, ritenuta un partner più affidabile e meno invasivo dal punto di vista geopolitico.
Stati Federati di Micronesia
Lo scorso 4 marzo, la Micronesia ha celebrato le sue elezioni parlamentari, un evento di grande importanza che ha visto i cittadini recarsi alle urne per eleggere 10 membri del Congresso, responsabili della conduzione degli affari pubblici per un mandato di due anni. Queste elezioni non sono state soltanto un esercizio di democrazia interna, ma hanno anche sottolineato come il paese sia strettamente intrecciato con la politica estera degli Stati Uniti.
Già l’anno precedente, infatti, il presidente in carica aveva firmato un accordo economico e di sicurezza della durata di 20 anni, che prevede un finanziamento da circa 3,3 miliardi di dollari. Tale accordo, parte integrante del più ampio schema dei COFA, funge da collante tra la stabilità interna della Micronesia e la capacità degli Stati Uniti di esercitare un’influenza strategica nella regione. In un contesto in cui le nazioni insulari si trovano a dover bilanciare la propria sovranità con la necessità di sviluppo economico e sicurezza, il supporto finanziario e tecnico proveniente da Washington rappresenta un elemento decisivo. Le elezioni hanno dunque avuto una valenza doppia: rafforzare la democrazia interna e confermare, attraverso il sostegno degli elettori, la direzione presa in relazione al legame con una potenza globale come gli Stati Uniti.
La giovane Repubblica di Palau
Sotto amministrazione statunitense sin dal 1947, Palau ha ottenuto l’indipendenza formate solo nel 1994, ma ancora oggi continua a giocare un ruolo chiave nel sistema dei COFA. Recentemente, questo piccolo stato insulare ha approvato un nuovo pacchetto di finanziamento decennale che consolida ulteriormente la partnership con Washington. Con l’accordo, Palau ottiene il supporto economico e politico necessario per fronteggiare le sfide della sicurezza regionale e del cambiamento climatico, temi particolarmente rilevanti per le nazioni del Pacifico.
Secondo i sostenitori del COFA, il sostegno nordamericano permette a Palau di investire in infrastrutture, programmi di sviluppo sostenibile e iniziative di protezione ambientale, rafforzando al contempo il proprio assetto politico. In un’area in cui la presenza cinese è in crescita, il consolidamento dei rapporti con gli Stati Uniti appare come una scelta strategica volta a garantire continuità e stabilità, ma allo stesso tempo ha attirato molte critiche sul piano della sovranità nazionale, visto che, secondo molti analisti, Palau resta de facto un territorio dipendente da Washington.
Le Isole Marshall, verso una revisione del COFA?
Sulle Isole Marshall, la situazione è particolarmente interessante. Recentemente, il parlamento delle Isole Marshall ha dato il via a un processo di revisione del proprio accordo COFA, avviando una serie di audizioni pubbliche nelle principali città di Majuro ed Ebeye. Questi incontri, volti a raccogliere le opinioni e le preoccupazioni dei cittadini, rappresentano un tentativo di rendere il rapporto con Washington più trasparente e, possibilmente, più equo.
Il dibattito pubblico ha messo in luce diverse questioni, tra cui l’eredità dei test nucleari statunitensi, le cui ripercussioni si sentono ancora oggi, e l’impatto a lungo termine dei finanziamenti sul tessuto economico e sociale delle isole. Le Isole Marshall, infatti, si trovano a dover negoziare non solo un vantaggio economico immediato, ma anche le conseguenze storiche e ambientali di una presenza militare statunitense che, imposta adducendo la motivazione della sicurezza regionale, può risultare asimmetrica dal punto di vista politico. La revisione del COFA potrebbe quindi tradursi in una ridefinizione dei termini dell’accordo, con l’obiettivo di bilanciare meglio i benefici economici con il rispetto della sovranità nazionale.
La cooperazione militare con la Papua Nuova Guinea
Parallelamente agli accordi economici e politici, la cooperazione militare rappresenta un ulteriore strumento con cui gli Stati Uniti esercitano la loro influenza nel Pacifico. La Papua Nuova Guinea (PNG) ha recentemente firmato, insieme al governo statunitense, un Defence Co-operation Agreement (DCA) e uno Ship Riders Agreement. Questi accordi mirano a potenziare la capacità delle forze di difesa della PNG, assicurando al contempo la sicurezza delle acque e dello spazio aereo del paese.
La situazione della PNG è particolarmente critica, dato che il paese è minacciato da numerose attività illegali, quali pesca non autorizzata, traffico di droga e traffico di esseri umani. In questo contesto, la collaborazione con la Guardia Costiera degli Stati Uniti consente di monitorare e contrastare tali attività, rafforzando la sicurezza interna e contribuendo a una maggiore stabilità regionale. Inoltre, la presenza di un accordo multilaterale che include anche il Compact of Free Association (COFA) rafforza il legame tra la PNG e gli Stati Uniti, rendendo più difficile per altre potenze emergere in quest’area strategica, e mantenendo in questo modo salda la presenza delle forze nordamericane.
I Paesi del Pacifico che si rivolgono alla Cina: una nuova prospettiva
Mentre alcuni paesi del Pacifico continuano a rafforzare i legami con gli Stati Uniti, esiste un gruppo di nazioni che ha scelto un percorso alternativo, orientandosi verso la Cina come partner strategico considerato più affidabile. Questa tendenza si osserva in particolare in nazioni quali le Isole Salomone, Kiribati e Nauru.
Le Isole Salomone, ad esempio, hanno progressivamente allentato i loro legami con Taiwan, preferendo instaurare rapporti più stretti con Pechino, fino a ritirare il riconoscimento nei confronti di Taipei. La decisione è stata motivata da una serie di considerazioni strategiche ed economiche: la Cina offre ingenti investimenti in infrastrutture, progetti di sviluppo e assistenza tecnica, elementi che risultano particolarmente attraenti per un paese in via di sviluppo. I legami economici con Pechino permettono alle Isole Salomone di finanziare la costruzione di strade, ponti e impianti energetici, contribuendo così a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Kiribati è un altro esempio emblematico. In passato, il paese manteneva relazioni diplomatiche con Taiwan, ma negli ultimi anni ha a sua volta spostato il suo orientamento verso la Repubblica Popolare. La scelta è stata guidata dalla prospettiva di un partenariato economico più sostenibile, in cui Pechino si impegna a fornire non solo investimenti diretti, ma anche assistenza tecnica e formazione. Tale relazione è considerata da molti analisti come un modello di cooperazione più equilibrato, che tiene conto delle esigenze di sviluppo a lungo termine e della sovranità nazionale.
Anche Nauru, piccola nazione insulare, ha seguito un percorso simile. La Cina ha offerto a Nauru un pacchetto di investimenti e assistenza che ha reso il partenariato estremamente vantaggioso dal punto di vista economico. Questo orientamento rappresenta una sfida diretta agli accordi tradizionali con gli Stati Uniti e i loro alleati, poiché suggerisce una possibilità di diversificare le fonti di sostegno esterno e di ridurre la dipendenza da una singola potenza.
Le ragioni che spingono queste nazioni a rivolgersi alla Cina sono molteplici. Innanzitutto, la Cina ha mostrato una capacità notevole di proporre soluzioni finanziarie e infrastrutturali che rispondono rapidamente alle necessità di sviluppo. Inoltre, l’approccio cinese è spesso percepito come meno invadente dal punto di vista politico, lasciando maggiori spazi di autonomia decisionale ai governi locali.
Il confronto tra l’approccio statunitense e quello cinese nel Pacifico evidenzia una dinamica di competizione geopolitica sempre più accesa. Da una parte, gli Stati Uniti, con i loro accordi COFA e le partnership militari, cercano di mantenere un’influenza consolidata nella regione; dall’altra, la Cina si propone come una valida alternativa, capace di offrire risorse e investimenti su misura per le esigenze dei paesi insulari. Questa doppia possibilità offre agli stati del Pacifico l’opportunità di negoziare accordi che possano massimizzare i benefici, bilanciando investimenti, sicurezza e sovranità nazionale.
In definitiva, il Pacifico continua a essere un’area di grande interesse strategico per le potenze mondiali. Gli accordi firmati e le scelte politiche interne dei paesi insulari riflettono una realtà in cui la ricerca di sicurezza, sviluppo economico e autonomia nazionale si intreccia con le dinamiche della competizione geopolitica globale. Mentre gli Stati Uniti consolidano la loro presenza attraverso accordi strutturali e partenariati militari, la Cina si afferma come un’alternativa pragmatica, pronta a offrire risorse e supporto in un’ottica di sviluppo sostenibile. La sfida per le nazioni del Pacifico consiste, dunque, nel negoziare accordi che possano garantire benefici immediati senza compromettere la loro futura sovranità e indipendenza politica, in un equilibrio delicato che continuerà a evolversi nel corso dei prossimi anni.
Giulio Chinappi