Il contrario di bello non è brutto, ma è pigro

La curatrice del dipartimento architettura e design del MOMA Paola Antonelli usava questa convincente definizione estetica quando qualche mese fa, per conto del New York Times Style Magazine, commentava con alcuni colleghi la sedia di plastica da giardino, o “monobloc chair” come si dice. Un oggetto non bello che ha un’importanza enorme in quanto vettore di senso, un correlativo oggettivo stampato in serie. È curioso che questo oggetto privo di autore, di valore, di culto sia cionondimeno una scorciatoia rapidissima per chi vuole comunicare semplicità, casa, relax. Autenticità (ta da da daaa). L’autentico che passa attraverso l’oggetto riprodotto in massa e anonimo per eccellenza, che bel paradosso. Sono le nostre chiappe appiccicate alla plastica a determinare lo scopo dell’oggetto, non la superficie su cui le suddette poggiano. Con le canzoni pop funziona uguale: possono essere quasi banali, ma diventano gigantesche perché ci andiamo a poggiare sopra le nostre vite. “Sedia in plastica da giardino”, stringa di parole comunissime che contiene migliaia di storie di serate uguali, migliaia di conversazioni identiche che durano tutta la notte, ma uniche ciascuna a proprio modo. Come le canzoni prodotte in serie che per qualche ragione ti guardano dentro. Bad Bunny non poteva scegliere una copertina migliore di quelle due seggiole sotto un banano per il suo ultimo (onestamente entusiasmante) disco, Debí Tirar Más Fotos. Che si interroga e ci interroga sul destino delle cose che diamo per scontate, le esperienze di vita che giuriamo di ricordarci anche senza fotografie, le culture musicali, le comunità.

Ne parlo nel mio primo approfondimento del mercoledì del 2025 (del disco, non della seggiola, ma è come se…)

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in foto: la copertina di DtMF - un Tostoini originale - un meme, che è la seggiola di plastica dell’umorismo