C'era una volta
Linguetta #96 / Le fiabe sono meccanismi narrativi capaci di attraversare tempi e luoghi diversi, adattandosi ogni volta ai cambiamenti della società. Come la lingua.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Leggendo ad alta voce a bambini e bambine, ho affinato l’orecchio ad alcune conversazioni fra genitori, ziə, nonnə che ogni tanto dicono “andiamo ad ascoltare le favole” oppure “dai che lui/lei legge le favole”. Di certo sono espressioni dette genuinamente, senza pensare che cosa sia una favola, o una fiaba, o una filastrocca, o un libro a figure.
Una cosa è certa: sono tutte storie. E sono fatte tutte di parole (anche quelle che hanno solo le figure).
Eppure, nomi diversi li hanno, perché ogni nome definisce una cosa ben precisa, con caratteristiche che la distinguono. Come per ogni persona.
Ed eccoci allora a parlare della fiaba.
È vero che seguendo l’etimologia ha in comune con ‘favola’ il verbo latino fari (parlare), da cui poi fabŭla e quindi flaba, eppure la fiaba differisce dalla favola. Lo lascio riassumere a un pensiero di Carolina Capria in una sua storia su Instagram:
Fiaba e favola sono cose molto diverse: la prima ha origini popolari, si tramanda per lo più oralmente ed è caratterizzata da elementi magici; la seconda ha di regola un autore, contiene una morale ed è popolata da animali antropomorfi.
Le fiabe, a differenza delle favole, dalla notte dei tempi si adeguano agli usi e ai costumi del momento storico in cui vengono narrate. Tant’è che di Biancaneve, come di Cenerentola e La bella addormentata esistono centinaia di versioni diverse, anche se alcune sono più note di altre.
La versione di Walt Disney non ha cancellato quella dei fratelli Grimm, ma le si è affiancata. E sono abbastanza certa che oggi nessuno di noi leggerebbe a un bambino la storia di una madre che vuole mangiare il cuore e il fegato della figlia conditi con sale e pepe.
Proprio la versione cinematografica in live action di Biancaneve che uscirà l’anno prossimo sta lì, nel terreno fertile delle fiabe: quello della rielaborazione. Nello stesso posto in cui ci sta la Sirenetta di Rob Marshall uscita lo scorso maggio.
La pelle scura di Ariel così come le origini sudamericane di Biancaneve, il cambio dei nani con una variegata banda di creature magiche e l’assenza del principe sono tutti elementi narrativi che stanno perfettamente nell’universo fiabesco, contraddistinto dalla variabilità.
Mutare è la regola
In inglese le fiabe si chiamano fairy tales, cioè ‘storie di fate’: perché sono creature e cose magiche i meccanismi che portano una fiaba a spostarsi dalla realtà percepibile a quell’altrove che la trasforma (e ci trasforma).
Le fiabe nascono come racconti della tradizione orale, quel folclore che spesso tiriamo fuori solo per le “sagre della tradizione” ma che fa da legante di una comunità. Anzi, di più: che da migliaia di anni ha legato popoli distinti e distanti.
Figuriamoci una mappa di gente sparsa per il mondo: tra le fiabe ci sono migliaia di chilometri e centinaia di anni, le fiabe variano nel tempo e nello spazio. Sono in continua mutazione, anche se lo scheletro della storia è quello.
Troviamo le stesse storie in culture diverse che sono collegate fra loro.
Perché a contraddistinguere una fiaba è una struttura semplice — anche priva di sfumature — però in grado di parlare di verità fondamentali per tutti gli esseri umani in ogni luogo e tempo.
In una bellissima puntata del podcast Nomadismo professionale, l’antropologa culturale Cristina Cassese dice:
Il terreno delle fiabe è sempre fertile, perché le fiabe si accordano alle epoche.
Ci sono moltitudini inesauribili dentro le fiabe, e a seconda di quello che serve vengono riscritte, rielaborate. Ogni fiaba è una storia infinita che ha sempre qualcosa da raccontare.
Giambattista Basile (Il cunto de li cunti) e Charles Perrault (Storie del tempo andato) avevano rielaborato storie che si perdono nella notte dei tempi.
Poi le Fiabe del focolare dei fratelli Grimm, quelle di Hans Christian Andersen e le Fiabe italiane raccolte e trascritte da Italo Calvino. L’elenco di raccontatori e raccontatrici di fiabe è lunghissimo, sia indietro sia in avanti nel tempo.
Il senso però è comune a tutte quante le voci, ed è espresso alla perfezione dalla studiosa di fiabe e del mito Marina Warner:
Le fiabe migrano su piedi leggeri e i confini sono per loro invisibili, malgrado la stretta sorveglianza degli arcigni custodi della purezza culturale.
Il genere fiabesco è forse il meccanismo narrativo che meglio rispecchia la mutevolezza della lingua, perché nelle fiabe la parola che racconta si adatta al mondo, di cui è artefice e riflesso.
Di fatto la fiaba:
non è una leggenda con coordinate precise. La fiaba è ambigua.
non è un mito che racconta una storia sacra o il racconto della fondazione di una civiltà. La fiaba è una variante.
e non è una favola concepita per trasmettere un messaggio morale. La fiaba può avere una morale, ma spesso non è chiaro quale sia.
Disney dopo Disney
Il carattere orale e popolare delle fiabe è segno della loro multiformità, tanto che riescono a essere fiabe anche storie nate per finire dentro una pagina scritta: come Alice nel paese delle meraviglie, Peter Pan, Il mago di Oz, Pinocchio. E possono anche cambiare tessuto emotivo, finendo sullo schermo del cinema.
Per primo lo ha fatto proprio Walt Disney nel 1937 con Biancaneve e i sette nani: ha adattato la fiaba togliendo tutte quelle parti considerate problematiche, in questo caso sì facendo un’operazione “politicamente corretta”. Ha espunto, ha cancellato le varianti locali per consegnare al pubblico una versione standardizzata della storia, calata in un’epoca in cui veniva raccontata una donna dolce e premurosa, un ideale passivo dell’essere donna — e non a caso Walt Disney si fregiava di assumere solo uomini bianchi per la parte creativa, perpetuando così uno sguardo maschile e maschilista.
Disney ha creato l’unica storia che conosciamo, eppure a suo modo ha anche tenuto in vita la storia di Biancaneve, come poi ha fatto in seguito con altre fiabe trasportate al cinema; e se non fosse stato per Disney, forse, molte di queste fiabe potevano diluirsi ed essere dimenticate.
Però i tempi cambiano, come la lingua fa di continuo.
Le fiabe possono farci comunicare attraverso i continenti, oltre le divisioni culturali e linguistiche. Non c’è nessuna forma narrativa che si presta meglio della fiaba al cambiamento e alla rielaborazione, concetto che esprime bene la psicoanalista Marie Louise von Frantz:
Le fiabe sono una compensazione dei valori dominanti, svolgono perciò una funzione vivificante e rigenerante, sia a livello individuale che collettivo.
Fiabe e società sono profondamente avvinte, ed ecco che anche quando diventano cartoni animati sanno modellarsi sulla realtà, trovando altre e nuove forme di racconto, che vuole dire uscire dal racconto di un’unica storia.
Le fiabe, testi semplici solo in apparenza, sono zeppe di simboli che hanno per maschere personaggi umani, animali, oggetti magici, ambientazioni. In questi sistemi di simboli è facile identificarsi per proiettare, elaborare, trasformare angosce e paure, per dare significato all’esistenza.
Come spiega bene lo studioso di letterature comparate Jack Zipes (sempre dal podcast di Cristina Cassese):
Le fiabe rivelano i problemi che come umanità non siamo ancora riusciti a risolvere. Ci mostrano cosa ancora non va. Le fiabe sono informate da una disposizione prettamente umana all’azione, a trasformare il mondo, a renderlo più adattabile alle esigenze del genere umano; mentre a nostra volta anche noi cerchiamo di cambiare e adattare noi stessi al mondo.
Le fiabe prendono avvio da un conflitto. Perché noi tutti iniziamo le nostre vite con un conflitto, tutti noi siamo in qualche modo inadatti al mondo però ci dobbiamo stare, e ci dobbiamo stare insieme alle altre persone. Per trovare, attraverso la nostra comunicazione, i mezzi con cui risolvere i nostri desideri e gli istinti, che altrimenti andrebbero in urto reciproco.
Le rappresentazioni della realtà cambiano (penso a Coco, Lightyear, Encanto, Luca, Red, Oceania), le fiabe pure, perché ce l’hanno nel DNA questa adattabilità; ciò che deve cambiare sempre più sono anche le rappresentanze dentro aziende costruttrici d’immaginari come Disney Pixar (a oggi per esempio un solo cartone animato Disney è stato diretto da una donna: Frozen).
Mutando, i racconti si ampliano e tengono dentro un numero sempre più diversificato di sguardi: vuole dire non appiattire tutto su un’unica storia e rendersi conto del potere insito nella parole, come raccontò in un famoso Ted Talk del 2009 Chimamanda Ngozi Adichie:
C'è una parola, una parola Igbo alla quale penso ogni volta che rifletto sulle strutture di potere nel mondo. La parola è nkali. È un sostantivo che si può tradurre, molto liberamente, come “essere più grande di un altro”.
Come i nostri mondi politici ed economici, anche le storie sono definite dal principio nkali. Come sono raccontate, chi le racconta, quando vengono raccontate, quante se ne raccontano, tutto questo dipende dal potere.
La parola ha sempre a che fare anche con il potere di chi la esercita. Riconoscere e accogliere i cambiamenti del mondo è fondamentale. Le fiabe ci aiutano a farlo, come ci ricorda Italo Calvino:
Le fiabe sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna.
P.S.
Una Linguetta più letteraria del solito, ma sapete che la lingua è come una sonda telescopica: arriva in un sacco di posti, vicini e lontani.
Detto questo, cercherò di fare uscire una nuova puntata anche la settimana prossima (magari in forma più breve), poi è probabile un saltello in lungo nelle settimane centrali di agosto. Però Linguetta è come la vita: imprevedibile. Intanto, buona fine luglio!
🖊️ Inversi
Oggi un pensiero del mio scrittore del cuore, Gesualdo Bufalino. Il libro è Bluff di parole, una serie disparata di citazioni, motti, sogni, pensieri, aforismi. Ne scelgo uno dalla sezione Pensieri a perdere.
Ogni frontespizio è una lapide su un’ecatombe di varianti uccise.
📚 Piccoli grandi volumi
L’ho citata nel mezzo della puntata, allora vado con il consiglio di un suo libro. Lei è Marina Warner, il libro s’intitola C’era una volta. Piccola storia della fiaba (traduzione di Bianca Lazzaro): agile, di piccolo formato, eppure condensa in maniera puntuale tutto quello che avremmo sempre voluto sapere sulla fiaba (ma non abbiamo mai osato chiedere).
Secondo consiglio è per il libro In mezzo alla fiaba, scritto da Silvia Vecchini e illustrato da Arianna Vairo: quattordici riscritture di fiabe famose in forma di poesia.
E per terzo una di quelle rielaborazioni che mi fanno gioire ogni volta che la leggo ad alta voce: Versi perversi di Roald Dahl (traduzione di Roberto Piumini), che riscrive in rima alcune fiabe, con maligni colpi di teatro che tengono fede al titolo.
🎥 Due cose diverse
Episodio 1, stagione 3 del documentario In poche parole. S’intitola Fiabe e in 23 minuti fa una bella panoramica di che cosa sono, che cosa non sono, come sono cambiate e quanto ci determinano le narrazioni fiabesche. Sta su Netflix.
Poi un film che è uscito da poco al cinema e di cui si parla in ogni dove. Già, è Barbie, scritto e diretto da Greta Gerwig e Noah Baumbach. L’ho trovato bellissimo. Si ride, si ragiona, ci si diverte, si rimbalza fra le citazioni, ci si commuove (più volte). Barbie è un’attenta e spassosa festa visiva, e soprattutto è scritto molto bene. Ah, Greta Gerwig è la co-sceneggiatrice anche del live action di Biancaneve che uscirà l’anno prossimo.
🎧 Terzetto mutaforma
Visto che l’estate è ancora lunga, abbondo anche con gli audio-consigli. Il primo è per il podcast Nomadismo professionale a cura di Cristina Cassese. La puntata che vi linko è Antropologia delle fiabe:
Poi è la volta di Carlo Lucarelli, che per Sky Arte ha registrato il podcast In compagnia del lupo, con cui va al nucleo delle fiabe, e quel nucleo è sempre una storia vera che nei vari racconti s’è trasformata. Qui sotto la puntata Biancaneve che visse quattro volte:
A completare il terzetto la consueta precisione e pacatezza linguistiche di Vera Gheno nel suo Amare parole con la puntata Biancaneve, le fiabe e lo spirito del tempo:
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Apriamoci alle fiabe e al mondo che cambia, che basta metterci il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Ho letto (ascoltato) solo oggi questa tua Linguetta e mi ha fatto tornare in mente quello che scriveva Luigi Ghirri in "Niente di antico sotto il sole", sul fiabesco: "Il fiabesco è un universo meraviglioso che si affianca al mondo reale senza sconvolgerlo e senza distruggerne la coerenza. Il fantastico invece rivela uno scandalo, una lacerazione, un’irruzione insolita, quasi insopportabile del mondo reale."
Che non so se c'entri del tutto ma è una distinzione sulla quale rifletto da tempo.