Da pochi giorni sono tornato da Hong Kong, dove ho vissuto per più di un anno. È stata certamente una esperienza molto interessante e posso dire di aver imparato tante cose belle e nuove.
Se mi si chiedesse di proporre una caratteristica che penso rilevante su Hong Kong, penso che dovrei parlare dei grattacieli. Essi in effetti rappresentano il panorama della città, la skyline, nel modo più efficace. Ma dovremmo prenderli ad esempio?
Non c’è dubbio che questa architettura che si slancia verso l’alto ha un fascino molto particolare, la possiamo vedere come un trionfo della tecnologia applicata all’architettura. Il grande architetto americano Frank Lloyd Wright diceva: “Il grattacielo, all'ora del crepuscolo, è una scintillante verticalità, un velo sottilissimo, un sipario luminoso teso contro il cielo oscuro per abbagliare, svagare e stupire. Gli interni illuminati emanano un senso di vita e di prosperità. Di notte, la città non solo appare viva; vive realmente. Ma la sua vita ha la consistenza dell'illusione. Visto di notte, vuoto di reale significato, il mostruoso agglomerato presenta infine casuali bellezze di contorni, e torrenti di luce riflessa e rifratta. Le strade divengono prospettive ritmiche di linee punteggiate di luci”. Certo si può comprendere questo fascino emanato dai grattacieli, e da edifici consimili, ma detto questo non possiamo nascondere il fatto che essi siano anche il simbolo di una grande alienazione dell’umano.
Mi viene in mente la storia della torre di Babele, il racconto che troviamo in Genesi 11, 1-9: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”. È un racconto molto significativo: l’orgoglio degli uomini che sembra voler sfidare il cielo porta a non comprendersi più. E in effetti se provate ad abitare in edifici simili, e io l’ho fatto per molti anni, vi rendete conto di una cosa molto particolare: si vive come atomi isolati, senza contatto con gli altri, questi luoghi non sono fatti per unire ma per separare e l’uomo rimane in preda delle sue paure senza aver il conforto della socializzazione che molto allevia la fatica del vivere.
Noi Italiani, di solito viviamo in un condominio. Anche qui si può riconoscere come spesso lo slanciarsi in altezza porta ad uno sfilacciarsi della socializzazione quando in realtà la parola stessa vorrebbe dire “dominio comune”, implicherebbe una complicità che invece è vanificata dagli ambienti rissosi per antonomasia, le riunioni di condominio.
Credo si dovrebbe riflettere se il tipo di architettura che troviamo in tante città moderne abbia veramente elevato l’umano o piuttosto sollevato l’uomo fino al punto di bruciarsi le ali come Icaro.