di Guglielmo Piombini
❇ 1° episodio della serie “In 5 minuti le idee che hanno cambiato il mondo”.
📖 Libro: Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, UTET, Torino, 1975, p. 1257, a cura di Anna e Tulio Bagiotti. Titolo originale: An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of the Nations.
Articoli pubblicati:
1. La mano invisibile. Adam Smith: la nascita dell’economia politica
2. Gustave Le Bon: psicologia sociale e psicologia individuale
Buongiorno e buon fine settimana.
Oggi vi proponiamo il primo post di una serie che ci accompagnerà per un bel po’ e che poi diventerà un libro. Spero che sia di vostro gradimento perché ci sto pensando da svariato tempo.
Cioè da quando frequentavo piuttosto assiduamente il Salon du Livre che si teneva ogni anno a marzo negli spazi espositivi di Port de Versailles a Parigi.
Potete tranquillamente saltare questa introduzione andando subito al contenuto principale. Della nascita della serie se ne può fare a meno.
La nascita della serie
Oggi Il salone parigino si chiama Festival du livre e quest’anno si terrà dal 21 al 23 aprile nell’incredibile Grand Palais Éphémère progettato dall'architetto Jean-Michel Wilmotte e realizzato con materiali mobili e modulari sul lembo sud ovest del Champ-de-Mars. Da solo vale una visita. Ospite d’onore del festival: “les lettres italiennes”.
Al salone c’era, e credo sia restata, un’atmosfera unica che irradiava proprio lo spirito magico e un po’ “cancan” di Parigi. Un qualcosa che non è possibile trovare in nessun’altra fiera simile, dove in genere si respira un’aria o di business o di compassata “vecchia economia”.
In genere questi eventi del libro sono molto abbottonati e contegnosi, a Parigi invece si è piuttosto “sbottonati”, per usare il nome di una spassosa rubrica di moda di Vanessa Friedman sul “New York Times”.
Soprattutto i francesi sono dei grandi maestri nell’arte del libro, forse i migliori.
3 minuti
Dal salone parigino si usciva sempre con qualche idea nuova sui contenuti e sui format, generosamente e liberalmente esposti. Pure con qualche libro che si poteva agevolmente portare via senza passare dalla cassa. Si era quasi quasi spinti a farlo dalla leggiadria del contesto, anche se non era certo appropriato farlo.
Bene, una volta sono uscito con due libri con copertina cartonata, regolarmente acquistati e bollinati. Accarezzavo l’idea di riproporli al pubblico italiano alla prima occasione utile. Poi gli eventi mi hanno portato in altre direzioni.
Non c’era ancora Twitter, ma l’idea fondante di quei libri era proprio quella: “È importante? Okay, però dimmelo con un twitt perché vado di corsa”.
I due libri erano 3 minutes pour comprendre le 50 plus grandes théories économiques e 3 minutes pour comprendre les 50 plus grandes théories philosophiques. Poi ho scoperto che c’era una intera collana “3 minutes” con almeno 50 titoli sui più disparati e improbabili temi. Segno del successo del format.
30 secondi
In realtà la collana era stata ideata, con il differente nome “30-Second”, dalla casa editrice Ivy Press di Brighton, oggi inprint di Quarto, un gruppo internazionale leader nei libri illustrati.
Beh! 3 minuti, e ancor più 30 secondi, sono veramente pochi per esporre una qualsiasi teoria in una lingua un po’ verbosa come l’italiano. Facciamo almeno 5 minuti! Anche Twitter è passato da 128 a 256 caratteri.
Poi ho pensato anche un’altra cosa. Piuttosto che granulare gli argomenti in molti volumi, perché non farne uno che raccogliesse le 50 idee (in tutti i campi) che hanno cambiato il nostro modo di pensare e di agire. La pubblicazione avrebbe avuto un maggiore impatto e richiesto un impegno editoriale minore.
A questo punto mi sono messo a cercare un possibile autore.
L’autore
Trovare una persona disposta a scrivere questa cinquantina di schede sintetiche con un preciso canovaccio, e cronometro alla mano, è stato quasi impossibile fin quando non ho conosciuto un libraio, editore, studioso e bibliofilo di Bologna, Guglielmo Piombini.
Sul sito della sua casa editrice, Tramedoro, Guglielmo ha pubblicato trame e schede di lettura di un centinaio di libri fondamentali. Questi materiali, leggermente rielaborati, potevano diventare il tipo di contenuto che stavo cercando.
Ed ecco che iniziamo a proporvelo ogni altro giovedì o con frequenza compatibile con gli impegni dell’autore.
Iniziamo con l’idea portante dell’economia politica classica: la mano invisibile di Adam Smith.
La mano invisibile
In 3 secondi: La mano invisibile del mercato concilia gli interessi personali con l’interesse generale.
Adam Smith
Adam Smith (1723-1790) nasce a Kircaldy, sulla costa orientale della Scozia vicino ad Edimburgo il 5 giugno del 1723. Nel 1752 viene nominato professore di filosofia morale presso l’Università di Glasgow. Raccoglie le sue lezioni di etica nella sua prima grande opera, Teoria dei sentimenti morali, pubblicata nel 1759. Nel 1776 pubblica La ricchezza delle nazioni del 1776, il libro che segna l’inizio dell’economia come scienza autonoma. Muore il 17 luglio 1790, lasciando agli amici precise istruzioni per bruciare gran parte dei suoi scritti.
In un minuto
La divisione del lavoro fra gli uomini accresce enormemente la produttività
L’uomo ha un’innata propensione allo scambio
Il lavoro è la misura del valore di scambio di tutte le merci
La moneta non è un bene economico ma una “grande ruota” che fa circolare la ricchezza
I capitali necessari allo sviluppo economico si accumulano solo grazie alla parsimonia
Il capitalismo è sorto nelle città libere del Medioevo
Bisogna contrastare le cospirazioni dei produttori e dei mercanti contro la libera concorrenza
Il libero scambio con l’estero avvantaggia gli abitanti di tutte le nazioni coinvolte
I privilegi monopolistici concessi dal governo danneggiano sempre i consumatori
Le imposte devono essere proporzionate, non arbitrarie, comode e con minimi costi di riscossione
Per realizzare l’opulenza universale è sufficiente un governo limitato che rispetti la libertà naturale degli individui
Per chi ha almeno 5 minuti
Libertà politica e libertà economica
Nel fatidico anno 1776 vengono solennemente proclamate, tra le due sponde dell’Atlantico, la libertà politica e la libertà economica.
La ricchezza delle nazioni di Adam Smith viene infatti pubblicata a Londra il 9 marzo 1776, solo quattro mesi prima della Dichiarazione d’Indipendenza americana del 4 luglio 1776.
Il libro di Smith incarna dunque lo spirito dell’epoca, e ottiene un immediato successo di critica e di vendite malgrado non sia affatto di facile lettura. È infatti un testo voluminoso, costato dodici anni di lavoro e stampato in due volumi di oltre mille pagine, scritto in maniera affascinante ma con uno stile talvolta prolisso e caratterizzato da lunghe divagazioni.
La sua difesa della “libertà naturale” conquista però le menti della sua generazione e cambia il corso della politica, portando al graduale smantellamento delle misure restrittive erette dai mercantilisti e all’affermazione delle idee favorevoli al libero scambio.
La ricchezza delle nazioni è il testo che fonda il pensiero economico classico, e che accompagna la civiltà occidentale nella nuova era della rivoluzione industriale e dei diritti dell’uomo.
La divisione del lavoro
Il libro di Smith si apre con la famosa descrizione dei metodi di lavorazione in una fabbrica di spilli, un esempio che gli serve per illustrare gli enormi vantaggi di produttività generati dalla divisione del lavoro.
Lavorando da soli, diciotto operai riuscirebbero a produrre a malapena una ventina di spilli al giorno, ma dividendo la produzione dello spillo in diciotto fasi distinte, ciascuna realizzata da un operaio specializzato in quella singola operazione, se ne producono attualmente quattromilaottocento al giorno.
Questo incredibile aumento di produttività introdotto dalla divisione del lavoro porta a una crescita della ricchezza di tutto il paese. Ogni operaio può scambiare così la grande quantità del proprio lavoro suddiviso con quella, altrettanto grande, degli altri operai, e in questo modo una generale abbondanza si diffonde attraverso i differenti strati sociali. Smith osserva che lo scambio basato sulla divisione del lavoro non nasce da una profonda riflessione o da una decisione collettiva, ma dalla innata propensione dell’uomo allo scambio, a “trafficare, barattare e scambiare una cosa con un’altra”.
La mano invisibile del libero mercato
Smith riuscì nella difficile impresa di far capire agli uomini del suo tempo l’idea contro-intuitiva che una società in cui gli uomini possono perseguire liberamente il proprio interesse economico anziché il “bene comune” non degenera nel caos, ma produce un ordine superiore.
La sua riflessione nasce dalla meraviglia davanti allo spettacolo miracoloso del funzionamento del mercato, nel quale milioni di individui che neanche si conoscono cooperano tra loro nelle complesse fasi della produzione, del trasporto e della vendita delle merci, offrendole ogni giorno ai consumatori nella qualità e quantità desiderata, senza che vi sia nessuno dietro a pianificare tutto questo.
La propensione dell’uomo allo scambio, che rende possibile la specializzazione del lavoro e quindi la ricchezza delle nazioni, non si fonda sull’altruismo, perché nessuno fa uno scambio al solo scopo di fare contento il prossimo:
«Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo, e parliamo dei loro vantaggi e mai delle nostre necessità» (p. 92).
Utilizzando una metafora divenuta celebre, Smith spiega che nel mercato ogni individuo, pur perseguendo solo il proprio tornaconto personale, è spinto come da una mano invisibile a beneficiare l’intera società: l’imprenditore o il mercante, dirigendo la sua industria in modo tale che il suo prodotto possa avere il massimo valore, mira soltanto al proprio guadagno
«e in questo, come in molti altri casi, egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni…
Perseguendo il proprio interesse egli spesso promuove quello della società in modo più efficace di quando intenda realmente promuoverlo. Non ho mai visto che sia stato raggiunto molto da coloro che pretendono di trafficare per il bene pubblico» (p. 584).
Critica al mercantilismo
La chiave della ricchezza universale individuata da Smith è quindi quella che lui chiama «l’ovvio e semplice sistema della libertà naturale», quando
«ogni uomo, purché non violi le leggi della giustizia, viene lasciato perfettamente libero di perseguire il proprio interesse a suo modo e di mettere la sua attività e il suo capitale in concorrenza con quelli di ogni altro uomo o categoria di uomini» (p. 851-52).
In altre parole, quando vi è libertà economica per tutti senza interferenze statali, libera concorrenza, libero movimento delle persone, del lavoro, dei capitali e delle merci.
Il commercio che viene svolto tra due luoghi qualsiasi senza forza o costrizione, ricorda Smith, è sempre vantaggioso a entrambi, ma nel sistema mercantile l’interesse del consumatore è quasi sempre sacrificato a quello del produttore.
La dottrina del mercantilismo nasce quindi dallo spirito del monopolio. Lo scopo di tutti i suoi regolamenti, come i dazi sulle importazioni o i premi alle esportazioni, è quello di
«sviluppare le nostre manifatture non mediante il loro miglioramento ma mediante la depressione di quelle di tutti i nostri vicini, e di metter fine, per quanto possibile, alla scomoda concorrenza di odiosi e sgradevoli rivali» (p. 821).
I compiti dello Stato
Anche se la società di mercato si regola ampiamente da sola senza ingerenze, esistono alcuni compiti che spettano al governo. Secondo il sistema della libertà naturale, spiega Smith, il sovrano deve attendere soltanto a tre compiti: primo, la protezione della società dagli attacchi provenienti dall’esterno; secondo, proteggere i diritti di ogni individuo per mezzo di un’equa amministrazione della giustizia; e terzo, creare e mantenere certe opere pubbliche e istituzioni pubbliche, che ai privati non conviene realizzare.
La visione di Smith è dunque quella, tipica del liberalismo classico, di uno Stato limitato che svolge solo un numero ben preciso di compiti. Per finanziare queste attività lo Stato deve procurarsi delle risorse attraverso le imposte.
Al riguardo Smith sviluppa quattro importanti regole finanziarie: le imposte devono essere proporzionate al reddito del contribuente; devono essere certe e non arbitrarie; devono essere comode da versare; i loro costi di riscossione devono essere minimi.
A dispetto delle difficoltà create dai governi, la società riesce spesso a progredire grazie all’industriosità degli individui:
«Lo sforzo regolare, costante e continuo di ogni individuo per migliorare la propria condizione, principio da cui deriva l’opulenza sia pubblica e nazionale sia privata, è spesso abbastanza forte per mantenere il corso naturale delle cose verso il progresso nonostante la prodigalità del governo e i più gravi errori dell’amministrazione» (p. 465).
Nell’ottimistico messaggio di Smith, ad una nazione occorre ben poco per passare dalla barbarie “al più altro grado di opulenza”: la pace, poche tasse e una tollerabile amministrazione della giustizia.
CITAZIONE RILEVANTE
Progresso nonostante il governo
«Lo sforzo naturale di ogni individuo di migliorare la propria condizione, quando può realizzarsi con libertà e sicurezza, è un principio tanto potente che può da solo e senz’altro concorso non solo condurre la società alla ricchezza e alla prosperità, ma anche superare centinaia di ostacoli assurdi coi quali la follia delle leggi umane troppo spesso ostacola la sua estrinsecazione; sebbene l’effetto di questi ostacoli sia sempre più o meno quello di violarne la libertà o di diminuirne la sicurezza» (p. 683).
Per approfondire
Il libro consigliato da Pietro Dorfles
Recentemente su Amazon ad appena 2,99 euro è stata riproposto un libro che non dovrebbe mancare in ogni casa, I cento libri di di Pietro Dorfles raggruppati per temi esistenziali.
Tra questi 100 enormi capolavori della letteratura mondiale, da leggere prima di iniziare qualsiasi cosa, ne no scelto uno che mi pare vagamente attinente al tema di oggi.
È un romanzo, magistralmente scritto, che si svolge nell’America nei ruggenti anni venti quando la mano invisibile dispensava ricchezza e divertimento a iosa, ma, forse, in misura non proprio appropriata.
Uno scrittore dalla sensibilità non comune ha colto questo momento magico attraverso un personaggio, Jay Gatsby, a suo modo epico, che ne ricorda molti anche del nostro tempo che oggi si chiamano Elon, Mark, Sam ecc.
Se avete altri cinque minuti leggetevi questa magistrale scheda di lettura di Pietro Dorfles.
«Il solo oggetto assolutamente immobile nella stanza era un divano enorme su cui erano posate come nella navicella di un pallone frenato due giovani donne [...]. Quando Tom Buchanan chiuse le finestre e il vento si spense nella stanza, le tende e i tappeti e le due donne calarono lentamente a terra.» C’è in queste immagini in movimento, come in un frammento di pellicola, un elemento essenziale della prosa di Scott Fitzgerald, ed è il montaggio quasi cinematografico delle sue storie, che riesce a restituire il ritmo tumultuoso della vita dell’America, di New York e dei suoi eleganti sobborghi residenziali negli anni che seguono la Grande Guerra. E qui la scrittura, essenziale, modernissima, piena di dialoghi fulminanti, è del tutto funzionale al drammatico intreccio.
Siamo nella prima metà degli anni Venti, probabilmente a Long Island, e la voce narrante è quella del personaggio più grigio e meno originale della storia: Nick Carraway, figlio di un’agiata famiglia del Midwest, agente di Borsa a New York più per fuggire dalla provincia e da una fidanzata invadente che per convinzione. Onesto, un po’ puritano, irresoluto, conformista, vive in una villetta prossima a quella, ben più lussuosa, di sua cugina Daisy, moglie di Tom Buchanan, ricchissimo ex campione di football. Vicino alla casa di Nick sorge la favolosa, pacchiana villa di Jay Gatsby, miliardario la cui fortuna ha origini oscure.
Gatsby, da casa sua, si incanta a guardare la luce del faro verde che segna il molo della casa dove vivono Tom e Daisy, sull’altro lato della baia, perché è da sempre innamorato di lei. Nick viene invitato a una delle sue sfarzose feste, fa amicizia con il padrone di casa, e per suo tramite Gatsby riesce a rivedere Daisy, con la quale riprende una relazione interrotta prima della guerra. La cosa non sembra scuotere l’equilibrio della coppia, visto che Tom è l’amante della florida moglie di un benzinaio. Ma in un drammatico pomeriggio di domenica, durante una gita che i quattro protagonisti fanno in città, Gatsby dice a Tom che sua moglie non lo ama, che ha sempre amato lui e che lui gliela porterà via. Daisy, indecisa, non sa cosa dire. Ma sulla via del ritorno l’automobile di Gatsby, guidata da Daisy, investe accidentalmente e uccide la moglie del benzinaio. Quest’ultimo, convinto che Gatsby sia stato l’assassino e forse l’amante della moglie, lo uccide e poi si spara. Tom e Daisy, prudentemente, si allontanano per qualche mese. Nick sarà l’unico, assieme al vecchio padre di Gatsby, a seguire il funerale dell’amico, e dopo poco, disgustato dal cinismo e dalla corruzione della società newyorkese, tornerà nella provincia da cui era venuto.
Il racconto però sarebbe monco se non aggiungessi che Gatsby, che fa credere di essere ricco di famiglia, di aver studiato a Oxford e di essere un eroe della Grande guerra, è in realtà il figlio di una famiglia di contadini, e ha fatto fortuna con il contrabbando e con traffici poco puliti. Tra lui e l’arrogante Tom, figlio di miliardari, c’è una differenza di fondo: sono ricchi tutti e due, ma mentre Gatsby non ha la classe di Tom, Tom non ha la vitalità, il bisogno di affermarsi e di conquistare la donna che ama che ha Gatsby. Tom ha conquistato Daisy con la sua ricchezza e con il suo fisico atletico, ma è Gatsby che la può riconquistare.
Raccontando la vita dei suoi personaggi a partire dagli intrecci sentimentali, Fitzgerald descrive le diverse prospettive con cui viene affrontata l’esistenza nei diversi ambienti sociali. «Che cosa facciamo dopo pranzo? E che cosa facciamo domani? E nei prossimi trent’anni?» si chiede Daisy, dandoci la dimensione della noia di una vita in cui trovare il modo per occupare il tempo è un problema. Mentre Gatsby è impegnato a farsi accettare dalla buona società, e a mettersi in luce agli occhi di Daisy, dando feste fantasmagoriche, piene di celebrità e di gente non invitata, dove però si susseguono solo pettegolezzi, imbarazzanti ubriachezze, litigi, signorine che cascano nelle fontane. Ed è vero che in una società giovane come quella americana, dove non esistono forti stratificazioni di classe, il denaro è tutto, e anche l’ex contrabbandiere Gatsby ha diritto di essere rispettato e di circondarsi di persone importanti. Malgrado nella sua vita si sia sempre circondato di persone a cui ha cercato di essere simpatico, però, è un uomo solo, e nessuno dei tanti ospiti delle sue feste, come Tom e Daisy, borghesi indifferenti e cinici, seguirà il suo funerale. In conclusione, è il risentimento di un benzinaio, l’esistenza di una distanza incolmabile tra ricchi e poveri, a produrre il dramma finale. Quasi a ricordarci che una democrazia non è compiuta fino a quando non ci sono pari opportunità per tutti, e la distribuzione della ricchezza può essere tanto ingiusta da produrre odio e fratture insanabili.
Nella tragica conclusione della storia, nell’immagine del funerale con il padre, povero e ingenuo contadino, che seppellisce un figlio diventato ricchissimo, sembra esserci l’allegoria del declino del sogno americano, del mito del self made man, della vorticosa vitalità degli anni del jazz e del proibizionismo, del veloce accumularsi di grandi fortune che ha caratterizzato lo sviluppo degli Stati Uniti tra le due guerre. All’orizzonte, sembrano già delinearsi la grande depressione, la crisi e la seconda guerra mondiale.
Da: Piero Dorfles, I cento libri, Garzanti, Milano, Edizione del Kindle, 2014
Ricevo questo feedback da Lisa Badocco che condivido volentieri.
Secondo me il sig. Piombini non poteva che essere bolognese, con quel misto di sintesi e di fantasia.
La tua idea di un libro così concepito mi sembra piacevole e interessante. Il fatto di farci scegliere il ns giusto tempo di informazione dà una ventata di libertà al ns desiderio di imparare e ci permette di affrontare perfino Adam Smith.
Dico subito che il tempo di pochi secondi è corretto se lo si vuole inserire in una tempistica differenziata per lasciare libertà di scelta, ma di per sé è veramente cortissimo e serve a dare più un'illusione di conoscenza (e per questo, come tutti i Tweet, può anche essere pericoloso).
Devo dire però che proprio il titolo è il format della mia grammatica di ripasso di inglese "Let's tweet English" (Hoepli) sono stati vincenti nella pubblicazione e nelle vendite.
La mia scelta va però al testo di 5 minuti: sono ammirata dalla capacità di sintetizzare in così poco tempo un'idea così complessa. Complimenti!
Lisa Badocco