Ignazio La Russa, razza padrona
Storia di un principino nero figlio di un ricco fascista, che si è accomodato alla tavola della Milano da Bere senza bisogno di doppio petto: la camicia nera andava benissimo.
Benvenute e benvenuti alla quinta puntata di S'È DESTRA, la newsletter che ogni venerdì racconta l'Italia al tempo del governo della destra destra. Un progetto sostenuto da Fandango Libri, che ha edito anche il libro Fascismo Mainstream dove tornano molti dei temi che affronteremo.
Oggi parliamo di Ignazio La Russa. O meglio: invece di trattarlo come un anziano tourettico che non riesce a non dichiarare alla stampa parole sopra le righe, o invece di gridare allo scandalo che la seconda carica dello Stato non riesca a tenere un contegno istituzionale, proveremo a capire da dove nasce il potere di Ignazio La Russa.
C’è anche un bonus track: un thread su Twitter che racconta come Silvio Berlusconi quando diceva "I fascisti li abbiamo fatti entrare noi nel ’94, li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi!" diceva la verità.
Se ancora non l’hai fatto:
Highlander
Ignazio La Russa è un vero highlander.
L’unico tra i colonnelli di Gianfranco Fini a essere sopravvissuto al capo.
L’ultimo vero missino a essere sopravvissuto all’affermazione della Generazione Atreju. Ignazio La Russa non si è fatto rottamare.
Dentro Alleanza Nazionale guidava la corrente di Destra Protagonista con Maurizio Gasparri. Erano quelli “moderati”, atlantisti e fan di Berlusconi, eterni rivali di quelli della Destra Sociale di Alemanno e Storace. Ma era anche il garante che tutti fossero rappresentati nel partito nato a Fiuggi, di cui è stato l’ultimo segretario per pochi mesi.
Poi con l’implosione del Pdl ha scelto la via di Fratelli d’Italia. Lo volevano mettere da parte ma non ci sono riusciti. Ignazio La Russa sa come rendersi indispensabile, e oggi siede sulla poltrona della seconda carica dello Stato, quella di presidente del Senato. D’Altronde era l’unico con un lungo corso parlamentare, già ministro, già vicepresidente.
Lo sgrammaticato
Da quando Liliana Segre ha scandito il suo nome in aula - presiedeva la seduta in quanto membro più anziano dell’assemblea - dichiarandone l’elezione, La Russa non ha mai rinunciato ad esprimersi con grande chiarezza. Lo ha spiegato chiaro e tondo di voler interpretare il suo ruolo “in modo poco paludato”, “a differenza di alcuni miei predecessori sono a capo di un partito e non sto per fondarne uno”, e ribadisce: “Ho le mie idee sui temi di carattere generale, come per esempio la giustizia o l’immigrazione, ma cerco di tenermi a debita distanza dal commentare le scelte specifiche della maggioranza” (Corriere della Sera 20 gennaio 2023).
Interpreta dicevamo il suo ruolo spesso e volentieri in modo sgrammaticato, come lo ha definito Giorgia Meloni, quando la giornalista Roberta Benvenuto di Piazza Pulita gli ha chiesto conto delle esternazioni su via Rasella e l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Ospite del condirettore di Libero Pietro Senaldi, sicuro che nessuno lo avrebbe contraddetto, ha ripetuto alcune delle bugie propagandate per decenni dalla propaganda neofascista:
Via Rasella una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non.
In molti hanno spiegato meglio di come potrei farei io qua perché queste poche parole fanno un vero concentrato di bufale: qua ne scrive lo storico Davide Conti su il manifesto, e qua lo spiega in un’intervista a Tommaso Coluzzi un altro storico, Carlo Greppi.
Ignazio La Russa fa di secondo nome Benito. Casa sua è piena di capoccioni del Duce, che lui stesso mostrava con orgoglio ai giornalisti del Corriere andati a scoprire la sua abitazione privata.
Dopo la sua elezione a presidente del Senato, il video dei busti di Mussolini a ricominciato a circolare finendo un po’ ovunque. Così lo stesso vi è tornato in un’occasione non casuale:
''Scusatemi se parlo di me. Sono sempre dipinto come quello che ha i busti del Duce, è vero ce l'ho, me lo ha lasciato mio padre, non capisco perché dovrei buttarlo... Non lo butterò mai, così come non butterei il busto di Mao Zedong se mi avessero lasciato un'opera d'arte sua... Scusatemi ancora per questa parentesi personale, che volevo assolutamente esternare...''
(8 febbraio 2023, intervenendo al Senato al convegno “Pinuccio Tatarella. Padre della destra di governo e precursore del centrodestra”)
Il messaggio di La Russa è chiarissimo: siamo qui perché ci siamo arrivati per via democratica, nessuno va a chiedere niente a tutti quelli di sinistra che hanno in casa il busto di Mao Tse Tung. Quindi? Tutto apposto, loro erano comunisti amici di Pol Pot e Stalin, io ero fascista, anzi postfascista perché quando lui era fascista il fascismo già non c’era più mentre il comunismo si. Io? Sono nato nel ‘47 come facevo a essere fascista? Mio padre lui si che era fascista, è una tradizione di famiglia.
Ordine o bombe a mano? Ordine!
Ignazio La Russa che prova a interpretare lo stile dell’uomo delle istituzioni democratiche, ma proprio non è il suo. Preferiamo ricordarlo nelle scene iniziali di Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio con Gian Maria Volontè, quando arringa una folla a Milano invitando le forze della destra a unirsi in nome dell’ordine contro il pericolo comunista, lanciando un appello “agli italiani che non hanno rinunciato all’appellativo di uomini, si uniscano al di sopra delle fazioni, al di sopra dei partiti, delle divisioni orchestrate e volute, al di sopra dell’oramai superato e in disuso, ma troppo a lungo sfruttato fascismo e antifascismo”.
Non solo La Russa ovviamente non stava recitando, ma abbiamo in effetti la prova che dice le stesse cose da più di cinquant’anni.
L’anno successivo a quel discorso, La Russa sarà protagonista di una delle pagine più drammatiche dello scontro tra le due tendenze del Movimento Sociale Italiano: da una parte quella reazionaria e conservatrice, dall’altra quella movimentista e anti sistema.
Il futuro presidente del Senato è il capo del Fronte della Gioventù, il 12 aprile è convocata una manifestazione “contro la violenza rossa” con la presenza della star del momento, quel Ciccio Franco che ha guidato i moti di Reggio Calabria. La questura vieta il corteo ma i giovani missini e con tutta la destra extraparlamentare vogliono sfilare ugualmente. Finisce con la morte dell’agente di polizia Antonio Marino ucciso da una bomba a mano. È il “giovedì nero” di Milano, è lo stesso Movimento Sociale a denunciare i responsabili. Uno strappo tra partito d’ordine e tentazioni rivoluzionare ed eversive che non si ricucirà più.
Ignazio La Russa alla fine sceglie il partito dell’ordine. E fino a qui un racconto degli anni Settanta, così come è stato canonizzato nelle biografie giornalistiche che tratteggiano la sua storia.
Paternò connection
Quello che viene messo meno in luce è che La Russa è il figlio della buona borghesia siciliana adottata da Milano fin dagli anni Cinquanta. Lui e la sua famiglia sono immigrati perché il padre prima va a fare l’amministratore delegato della Lanerossi, ce lo mette un compaesano di Paternò Michelangelo Virgillito. poi lavora con Raffaele Ursini e Salvatore Ligresti, anche lui di Paternò, mentre questi costruivano mezza Milano. Lui gli altri siciliani come lui, quelli arrivati al Nord per andare in fabbrica a lavorare e vivere in case insalubri, non sapeva neanche dove cercarli.
Ignazio La Russa è un esemplare in purezza di razza padrona, suo padre Antonino non solo è stato fascistissimo, ma anche espressione della destra del mondo dell’impresa che sognava di riportare la disciplina alla catena di montaggio con le buone o con le cattive, e che poi ha scoperto il fascino della finanza e della speculazione.
Dirigente di impresa e poi parlamentare del Movimento Sociale Italiano, ha fatto del secondo genito il predestinato a rilevare l’impegno politico paterno, ma anche a far fruttare una solidissima rete di potere e relazioni consolidata tra la provincia di Catania e Milano e che ha due gambe: da una parte il potere economico di Ligresti, dall’altra quello potere dei La Russa (prima il padre, poi i figli). E poi ci sono i fedelissimi, di cui già 10 anni dieci fa in un articolo Rodolfo Sala disegnava una mappa senza dubbio oggi da aggiornare, di solito anche loro di origini paternesi.
Il fratello Romano La Russa, con la passione per il saluto romano, è assessore in Regione Lombardia. Con molto meno appeal del La Russa più famose, è però oggi lui il plenipotenziario in Lombardia, a conferma che alcune cose vanno gestite in famiglia. Oggi è assessore in Regione alla Sicurezza, ma il presidente del Senato lo avrebbe voluto alla Sanità per rompere la storica egemonia ciellina, e mettere le mani sulla voce che rappresenta l’80% del bilancio regionale.
Il principino nero
Da questi brevi cenni biografici si capisce bene dunque da dove gli viene questa abitudine alla battuta greve e alle dichiarazioni sopra le righe. È semplicemente la ridanciana arroganza di chi è abituato a comandare. E di solito ride da solo o assieme a chi gli è ubbidiente.
Ignazio La Russa è stato un principino nero. Un ricco postfascista figlio di un ricco fascista. Se suo padre è cresciuto all’ombra di finanzieri arrembanti, il figlio si è accomodato alla tavola della Milano da Bere: non serviva il doppio petto, la camicia nera andava benissimo.